martedì 19 aprile 2016

Cristo si è fermato a Eboli

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Chiesa di San Francesco del centro storico di Eboli



Se volessimo individuare i libri che testimoniano la storia italiana e le nostre radici, a quali potremmo far riferimento? Io ho trovato la mia risposta in “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi. 
La trama parla del periodo in cui l’autore, a causa delle sue attività culturali anticonformiste, viene condannato al confinio in Lucania dalla polizia Fascista. A questo punto si può già intuire quale sia l’argomento portante di quasi tutto il libro perché come Napoleone (francese) è stato esiliato a Sant’Elena o Umberto II (ultimo re d’Italia) in Portogallo, così Carlo Levi italiano è stato esiliato nel sud Italia! Questo perché nel meridione tutto era rimasto congelato ai cambiamenti apportati durante l’unità d’Italia e perciò si trovava completamente tagliato fuori sia dal boom economico ed industriale, sia dai salotti culturali che esistevano al Nord: forte è il tema della questione meridionale.
Protagonisti assoluti del libro sono i contadini, in particolare la loro rabbia nei confronti della società romana, vista come sfruttatrice e considerata unica responsabile delle condizioni di miseria e povertà in cui si trovano; e la monotonia da cui si fanno trascinare perché privi di speranza.

“Io pensavo a quante volte, ogni giorno, usavo sentire questa continua parola, in tutti i discorsi dei contadini. – Ninte -  come dicono a Gagliano. – Che cosa hai mangiato? – Niente – Che cosa speri? – Niente. – Che cosa si può fare? – Niente -. La stessa, e gli occhi si alzano, nel verso della negazione, verso il cielo. L’altra parola, che ritorna sempre nei discorsi è Crai, il cras latino, domani. Tutto quello che si aspetta, che deve arrivare, che deve essere fatto o mutato, è crai. Ma crai significa mai.”

Questo libro non deve essere letto per scoprire il finale, ma per il gusto di capire i sentimenti di quei contadini e cosa li rende diversi rispetto al resto dell’Italia. Per quanto riguarda la trama non accade nulla di eclatante ma la lettura risulta lo stesso scorrevole perché si viene trasportati via dalla monotonia che incastra il paese e si ha la sensazione che l’autore voglia trasmetterci intenzionalmente il suo senso di noia. Tuttavia nulla risulta noioso perché Levi riesce a farti sentire parte dei luoghi e delle storie che vengono raccontate e soprattutto chi è del sud può riconoscersi e immedesimarsi nei paesaggi e in determinati comportamenti. Io, ad esempio, nelle descrizioni dei contadini ho ritrovato moltissimo l’esperienza dei miei nonni i quali appartenevano a quella stessa classe sociale e hanno avuto una vita dedicata esclusivamente al lavoro fatta anche di privazioni per il bene comune della famiglia. Ancora adesso nei loro discorsi c’è un senso di disillusione verso tutto: non possono permettersi di sognare perché conoscono quanto sia diversa e dura la realtà.
Anche la componente magica e le credenze popolari mi hanno fatto ripensare alle nostre tradizioni; infatti nel libro si fa riferimento spesso alla magia: dalle donne che utilizzano pozioni per far innamorare gli uomini, alle streghe che vivono in paese, ai Monachicchi (folletti portafortuna) dei boschi vicini... e appunto anche mia nonna (classe 1933) mi racconta sempre storie  dello Scazzamauriello (un folletto dispettoso), oppure mi ha insegnato un sacco di formule che dovrebbero funzionare contro il mal di testa e dolori di varia natura. Insomma quello che voglio dire è che nel libro si parla di situazioni che d’impatto sembra esistessero solo novant’anni fa ma che invece ancora o soltanto persistono negli occhi, nell’esperienza e nel carattere delle persone più anziane, le quali nel tempo, nonostante i passi in avanti compiuti dalla società, sono rimaste comunque legate a quei momenti restando sempre fedeli alla loro terra e alle loro radici.
Oggi questo senso di appartenenza così forte e carnale non esiste più, non crediamo a nulla, a parte che in noi stessi, non ci sono obiettivi comuni e piuttosto che lottare per mantenere vive le nostre tradizioni, ci omologhiamo a mode e ad abitudini che non sono nostre. Invece di “questione meridionale” dovremmo parlare di “questione italiana” perché non sappiamo più riconoscerci nella nostra cultura secolare e a partire dai gesti più piccoli tendiamo a diventare socialmente simili al resto del mondo riuscendoci in modo forzato e maldestro perché non siamo il resto del mondo, ma l’Italia con la carbonara invece del sushi, con le piccole chiesette antiche nei vicoli di città  al posto dei grattacieli, con la domenica in famiglia e con le tradizioni che risalgono a molti secoli prima.
“Non è l’istituto familiare, vincolo sociale, giuridico e sentimentale; ma il senso sacro, arcano e magico di una comunanza”
 All’inizio di questo articolo ho indicato “Cristo si è fermato a Eboli” come testimone del nostro passato perché è quello che, a mio avviso, ci rende forti e di una certa rilevanza agli occhi del mondo e da questo dovremmo ripartire per poterci risollevare dall’alienazione soprattutto giovanile verso la nostra cultura ed evitare così di diventare ancora più schiavi del materialismo e dell’egoismo.
“…perché l’Italia è il paese dei diplomi, delle lauree, della cultura ridotta soltanto al procacciamento e alla spasmodica difesa dell’impiego.”
E voi quale pensate sia il libro rappresentativo del nostro passato e della nostra cultura? E perché? Aspetto le vostre risposte e intanto vi auguro una buona lettura. 
Marty

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