Molte sono le storie in cui un singolo o un
gruppo di personaggi all'improvviso si rende conto di vivere in una società che
priva i propri cittadini della libertà costringendoli a fare qualcosa per controllarli
e mantenere ben salde le briglie del potere. Questo genere letterario viene
definito col termine distopia proprio per sottolineare come ci si
allontani completamente dall'utopia (la perfezione per antonomasia). Spesso
questi libri vengono incorporati direttamente nel genere fantasy proprio perché
sono basati su realtà inesistenti dove spesso (ma non sempre) ci sono tecnologie
avanzate oppure personaggi di pura fantasia con doti non umane; tuttavia è necessario fare una distinzione perché nel genere fantasy tutto parte
dall’immaginazione dell’autore che ne dà libero sfogo inventando personaggi,
storie e mondi completamente diversi dal nostro, insomma l’autore non ha
un’esigenza. Mentre nei libri distopici c’è un’urgenza e si comincia a scrivere
per il bisogno di denunciare qualcosa che esiste per davvero ossia si tenta di
far aprire gli occhi al lettore e inviargli un preciso messaggio.
Si può azzardare che questo genere abbia avuto origine dalle tragedie greche
nello specifico ho riscontrato delle somiglianze con Euripide. Infatti lo scopo
in generale del tragediografo era quello di fare passare sia un messaggio
politico ma anche indurre il pubblico ad una riflessione indagando sulle
condizioni dell’uomo come ad esempio le responsabilità e le colpe dei
personaggi, per la formazione di modelli di comportamento da seguire.
In particolare in Euripide l’eroe protagonista, quindi in generale l’uomo, si
sente oppresso da una realtà sentita come prevaricante. Inoltre nella Medea il
tragediografo riesce a presentare al pubblico il problema della discriminazione
femminile ateniese grazie allo stratagemma di sottolineare l’origine straniera
e quindi la diversità della protagonista, in una società che privilegiava i
diritti di provenienza. Ovviamente la tragedia greca ha molte altri significati
e sfaccettature da prendere in considerazione, ma riguardo alle distopie,
secondo me, le comunanze, come detto sopra, sono: la necessità di denuncia e il
racconto di un’oppressione. Tuttavia mentre nella tragedia i personaggi sono
condannati al fato contro cui non si può far nulla, nella distopia esiste un
barlume di speranza e da qui nasce la rivoluzione del protagonista verso il
sistema.
Il libro distopico più conosciuto è sicuramente 1984 di
George Orwell è un libro che genera un sentimento di rabbia e di fastidio (per
me così è stato) perché la società dell’Oceania si basa su una vera e propria
manipolazione delle menti con false notizie su giornali e sui libri,
e addirittura la psicopolizia… tu sei lì che leggi con l’ansia e ti senti
impotente (non prendetemi per pazza ma questo libro mi ha davvero fatta sentire
così!) soprattutto quando il protagonista subisce determinate torture. Orwell
con questo libro fa una critica spietata al partito sovietico ma più in
generale ad ogni forma di potere che tenta di manipolare e di controllare i
suoi sudditi; significativo è l’anno di uscita 1948.
Mentre cercavo materiale per scrivere questo post, nella mia
libreria di fiducia la Mondadori di Eboli, ho trovato un libro intitolato
Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, l’ho comprato, l’ho letto e mi è piaciuto tantissimo.
Parla di una società in cui le persone vengono manipolate da monumentali
televisioni, chiamate famiglia, e in cui i libri sono proibiti e se trovati
bruciati dai pompieri perché spingono le persone a pensare e di conseguenza le
rendono infelici e difficili da gestire. Questo è proprio quello che accade a un
pompiere, Montag che comincia a pensare, apre la mente
e si ribella. I temi mi sono sembrati molto attuali perché a dominarci non c’è
più solo la televisione, ma anche gli smartphone e tantissima altra tecnologia
che non sempre è un male ma neanche un bene! Nel
libro viene spesso nominata una guerra che sta per scoppiare ma appare distante
e lontana dalla città ed anche questa cosa mi ha riportato moltissimo al nostro
tempo, le guerre che sono territorialmente distanti da noi non vengono mai
considerate importanti, ma siamo del tutto certi che sia così?
Finora ho parlato di libri appartenenti al secolo precedente, ma ce ne sono
moltissimi più recenti anzi si può dire che ci sia stato un
boom del genere e infatti sono state sviluppate anche saghe, e mi riferisco a
libri come Hunger Games di Suzanne Collins o Divergent di Veronica Roth. Inizialmente
non sono stata attratta da questi libri perché li consideravo scadenti e poco
interessanti (mai giudicare un libro dalla copertina!) poi ho visto il primo
film di Hunger Games, la storia mi ha appassionato e ho letto i libri che hanno
sciolto tutti i miei pregiudizi. Tra le due saghe quella che ho preferito è
stata Divergent però la trama di base su entrambi i libri è che c’è una società
divisa in classi, una protagonista che compie delle scelte che la porteranno
poi a ribellarsi al sistema diventando un capo della rivolta. Ovviamente i
libri hanno personaggi e sviluppi della trama molto differenti, tuttavia sono
simili tra di loro rispetto invece ai libri di cui ho parlato prima: nelle
saghe si forma un gruppo di ribellione mentre nei primi è una guerra personale
di un singolo individuo; altro elemento significativo è che le protagoniste di
Divergent ed Hunger Games sviluppano una vera e propria storia d’amore mentre
negli altri non c’è spazio per i sentimenti o meglio il mondo esterno li
impedisce, addirittura in Fahrenheit 451 le persone appaiono fredde ed
asettiche. Anche dal punto di vista narrativo i primi libri di cui ho parlato
creano nella lettura un senso di disagio ed ansia a volte anche paura mentre la
lettura degli ultimi è molto più scorrevole e ritmata e si va avanti velocemente
per la curiosità di scoprire che cosa accade. Inoltre sembra che le saghe non
abbiano l’urgenza di mandare un messaggio, in effetti è vero non si percepisce
alcuna denuncia ma per il semplice motivo che, fortunatamente, in occidente
viviamo in un periodo storico libero da governi oppressivi, perciò i messaggi
degli autori possono apparire come le buon vecchie morali delle fiabe,
scaturite però sempre da situazioni che esistono nel nostro tempo… per esempio
in Divergent viene creato un discorso basato sulle attitudini delle persone in
un mondo che ci spinge sempre di più verso la competitività e dove chi è
incapace viene tagliato fuori; ci fa riflettere e capire che ognuno può
sviluppare determinate capacità ponendosi un semplice obiettivo: siamo tutti
diversi (divergenti) ma con uguali potenzialità.
Spero di avere scaturito un po' di curiosità verso questo genere, intanto aspetto i vostri commenti e consigli sui libri distopici che non ho nominato. Come sempre vi auguro una buona lettura…
Marty :)
"C'era un buffissimo uccello, chiamato Fenice, nel più remoto passato, prima di Cristo, e questo uccello ogni quattro o cinquecento anni si costruiva una pira e ci si immolava sopra. Ma ogni volta che vi si bruciava, rinasceva subito poi dalle sue stesse ceneri, per ricominciare. E a quanto sembra, noi esseri umani non sappiamo fare altro che la stessa cosa, infinite volte, ma abbiamo una cosa che la Fenice non ebbe mai. sappiamo la colossale sciocchezza che abbiamo appena fatta. Conosciamo bene tutte le innumerevoli assurdità commesse in migliaia di anni e finché sapremo di averle commesse e ci sforzeremo di saperlo, un giorno o l'altro la smetteremo di accendere i nostri fetidi roghi funebri e di saltarci sopra. Ad ogni generazione, raccogliamo un numero sempre maggiore di gente che si ricorda."
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